Valentino Rossi pilota e manager? Ecco i precedenti che lo stuzzicano

Rossi potrebbe continuare nel 2022 nel suo nuovo team di MotoGP. E di esempi nel mondo dei motori ce ne sono, anche se pochi vincenti

(Photo by Mirco Lazzari gp/Getty Images)

Il futuro di Valentino Rossi è ancora un enigma. Continuare a correre anche nel 2022 o appendere il casco al chiodo e dedicarsi a tempo pieno al nuovo team in MotoGP, oltre che all’Academy?

Nelle prossime settimane sarà annunciata la moto con la quale la sua scuderia correrà il prossimo anno nella classe regina. Le opzioni sul tavolo sono diverse: dalla conferma della partnership con Yamaha all’opzione Aprilia, così come Ducati e Suzuki. Nelle trattative potrebbe pesare però anche la sua crisi in pista con la M1. Un fatto questo che potrebbe rompere l’amore con la moto della casa di Iwata e aprire definitivamente alle altre alternative.

Ma un’ipotesi si fa sempre più largo: perché non continuare magari ancora un anno all’interno del proprio team? Un’opzione che per il momento lo stesso Rossi ha accantonato, ma che viste le recenti vicissitudini e la sua voglia di rimanere un pilota, potrebbe realmente accadere. E di precedenti in tal senso ne è pieno il mondo dei motori.

Agostini “in proprio” nell’ultimo anno di carriera

Per il Motomondiale un Rossi pilota e manager allo stesso tempo non sarebbe una novità. Prima di lui infatti è stato un altro mito come Giacomo Agostini a provarci. Nel 1976 infatti il campione del mondo e la Yamaha non riuscirono a raggiungere un accordo. Le offerte erano due: andare in Suzuki o tornare a correre con le MV Agusta.

In particolare l’azienda varesina, che aveva deciso di ritirarsi dalle competizioni, spingeva Ago a una opzione mai tentata prima, quella di mettersi in autogestione e provvedere lui al reparto corse. L’impresa però era ardua, visto che Agostini avrebbe avuto una MV Agusta senza sviluppi proprio nel momento in cui stava emergendo la superiorità tecnologica dei motori a due tempi. Alla fine però prevalse l’aspetto romantico, oltre all’antica amicizia con Arturo Magni.

E proprio in questa occasione cominciarono ad emergere le doti manageriali del 15 volte campione del mondo, che poi nel 1982 intraprese questa carriera. Arrivarono grazie al suo nome importanti finanziamenti di note aziende multinazionali, che gli permisero di mantenere tutti i meccanici e tecnici del reparto corse MV. I risultati però in pista furono tutt’altro che positivi. Solo due vittorie, una ad Assen nella 350 e una al Nurburgring in 500, le ultime della moto italiana. Poi tanti ritiri, dovuti alla scarsa qualità delle componenti elettriche ed elettroniche.

Brabham, McLaren e non solo: i casi della F1

Passando alle quattro ruote Rossi ha altri esempi interessanti. Diversi sono i piloti che, smesso con le corse, hanno tentato l’avventura con un proprio team. Ma in pochi lo hanno fatto anche come piloti.

Sicuramente al Dottore tornerà alla mente il caso di Jack Brabham, che nel 1962, con due titoli mondiali conquistati con la Cooper, raggiunse un accordo con l’ingegnere aeronautico Ron Tauranac per la fondazione della propria squadra. E fu lui in prima persona a portare in pista la sua vettura, sfiorando il terzo titolo iridato nel 1966, arricchito dal bis nel campionato costruttori replicato l’anno successivo con Denny Hulme. Un’avventura quella della Brabham che durò fino al 1992, con un bottino che recita 35 vittorie, 39 pole, 41 giri veloci, 124 podi ed 8 doppiette.

Un altro pilota-costruttore fu Bruce McLaren, che nel 1966 diede vita alla propria scuderia, per la quale il neozelandese corse fino all’inizio del 1970, quando morì durante una gara CanAM. Due anni dopo la creazione del team, le vetture di Woking iniziarono a far rapidamente paura alla concorrenza con la prima vittoria, ottenuta proprio da McLaren nel GP del Belgio. E ancora oggi le sue vetture sono presenti nel Mondiale. E il ruolino di marcia è impressionante: 8 titoli mondiali costruttori e ben 12 piloti.

Fallì miseramente invece il tentativo di Emerson Fittipaldi, due volte campione del mondo al volante della McLaren, che all’inizio della stagione 1976 si lasciò convincere dal fratello Wilson a fondare un team tutto brasiliano, ribattezzato Copersucar per motivi di sponsor.

Con Emerson alla guida del suo stesso team (pur lasciando il ruolo di manager al fratello), la nuova avventura fu un autentico disastro. Macchina poco competitiva e un solo podio racimolato nel 1978 in Brasile, davanti ai suoi tifosi. Provò poi a portare avanti il progetto esclusivamente da manager, ma nel 1981 dovette chiudere bottega.

Così come andò male a John Surtees ad oggi il primo ed ancora unico pilota ad aver trionfato sia in moto che in F1. Nel 1970 l’inglese tentò l’avventura anche in qualità di costruttore, fondando l’omonima scuderia ma le soddisfazioni furono davvero poche. Nessun podio con lui nei tre anni in cui la guidò personalmente, poi da manager chiuse l’avventura nel 1978 con un totale di due podi e tre giri veloci.

Senza successo fu anche il tentativo di Arturo Merzario, che nel 1978 tentò la svolta anche nel ruolo di costruttore, fondando un suo team. Ma in due anni le sue vetture non riuscirono quasi mai a qualificarsi ad un GP e, quelle poche volte in cui l’impresa avvenne, esse non videro mai la bandiera a scacchi.

L’ultimo in ordine temporale a tentare il colpo fu Hector Rebaque, ricco industriale messicano che tentò la fortuna in F1 nel 1979. Ma fu un flop totale. Si presentò al via al Gp del Canada, ma non riuscì a qualificarsi. E dopo questa esperienza, il team scomparve dai radar. Un esempio che Rossi, di certo, non vuole seguire.

LEGGI ANCHE —> “Un esordiente sta già facendo meglio di Valentino Rossi”: parla Lorenzo

Giacomo Agostini
Giacomo Agostini (Foto Getty Images)
Impostazioni privacy