Michael Schumacher, il racconto di Binotto sconvolge: cosa è successo

L’ex team principal della Ferrari Binotto parla di Schumacher, ricordando l’inizio della collaborazione che porterà tanti successi.

Mentre in Bahrain sono cominciati i test pre-stagione della F1, Mattia Binotto pensa al passato. Fuori dal Cavallino dopo un trentennio di collaborazione, il tecnico italo-svizzero è tornato con la memoria ai mitici anni ’90. Quelli che mancano a tutti i fortunati che li hanno vissuti. Nella fattispecie, il responsabile del muretto della Rossa fino allo scorso dicembre, ha ricordato quando per la prima volta Michael Schumacher si calò nell’abitacolo di una Ferrari per una sgambata vera e propria.

 Michael Schumacher (ANSA)
Michael Schumacher in epoca Ferrari (ANSA)

Siamo nel 1995. La prova era stata fissata sul circuito dell’Estoril, allora molto utilizzato dalla top class. E avrebbe dovuto cominciare alle 9. L’ingegnere, assieme al resto del team si presentò alle 8:30 trovandolo lì indispettito. A suo avviso avrebbero dovuto presentarsi almeno un’ora prima. E per questo fece un gesto particolare.

Binotto omaggia lo stacanovista Schumacher

La condivisione dell’aneddoto è avvenuta al Panathlon Club di Parma, dove il 53enne si è ritrovato assieme a nomi importanti del motorsport italiano come Aldo Costa e Giampaolo Dallara. 

Ero un neolaureato, lui, invece, un campione del mondo con la Benetton appena passato a Maranello. Nel suo primissimo test con noi, era in tuta completamente bianca, senza sponsor. Fece un solo giorno a Fiorano per abituarsi alla macchina e al nostro 12 cilindri. Poi ci trasferimmo in Portogallo“, la premessa al simpatico racconto.

Abituati ai più latini nell’atteggiamento Jean Alesi e Gerhard Berger che facevano capolino nel box alle 8:50 in casi del genere, il comportamento scrupoloso di Schumi lasciò il gruppo di lavoro a bocca aperta.

Alla mezza il tedesco era già lì, seduto sulle scalette del motorhome che ci faceva il segno dell’ora. Ci disse che bisognava fare tutte le mattine il meeting, per parlare del programma e decidere cosa fare, per poi avere alle 9 la massima efficienza”, ha condiviso quegli istanti memorabili e che ben facevano comprendere la caratura del personaggio.

In generale ad essere diversa era altresì la metodologia di lavoro. Dopo il giro di installazione, il sette volte iridato rientrava al garage per far controllare ai meccanici che non vi fossero problemi di qualsiasi sorta e ai tecnici i dati. In un secondo momento, scendeva dall’auto e si confrontava direttamente con il suo ingegnere, così da avviare il programma. Alle 16, con l’aria più fresca, la vettura veniva alleggerita di benzina e con le gomme nuove, il pilota andava a segnare il tempone a favor di stampa.

E’ stato un corridore che ci ha dato tantissimo, per talento, generosità, carisma e leadership. Personalmente me lo porto dietro ancora oggi nel mio percorso professionale“, ha proseguito il discorso svelando come tra il 2019 e il 2022 abbia tentato di applicare quanto imparato dal Kaiser.

Al tempo facevamo gare e test di continuo. Per cui eravamo 210 giorni all’anno in pista. Trascorrevo più tempo con lui, che con la famiglia.  Come amo ripetere, in Ferrari non ci si lavora. Ci si vive”, ha considerato.

In un ultimo un pensiero alla Scuderia in generale e alle criticità che ci trova davanti quando bisogna gestirla. “Dall’esterno non si ha una percezione esatta della complessità della sua organizzazione strutturale“, ha analizzato. “A Maranello lavorano 1500 persone. Di cui 100 viaggiano, mentre le altre 1400 pensano all’auto, spingendo al massimo per svilupparla e migliorarla“. Ma a questo punto conta ancora qualcosa il pilota?  “Per vincere occorre avere l’auto migliore. Chi guida può portare due decimi con le sue abilità“, la sua chiosa.

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