Che malattia aveva Niki Lauda? Ecco cosa ce lo ha portato via

Niki Lauda è uno dei piloti più amati per via della sua eroica carriera, ma nel 2019 è scomparso per via di una malattia letale.

La vita di Niki Lauda è stata un’avventura difficile da raccontare, tant’è che venne soprannominatoL’eroe dei due mondi” da Leo Turrini. Un personaggio di questo livello rappresenta l’ideale perfetto da seguire per chi non si arrende mai, e c’è da dire che lui, di prove complicate, ne ha superate tante, e tutte a pieni voti.

Niki Lauda (ANSA)
Niki Lauda (ANSA)

La sua prima impresa fu quella di riportare al mondiale una Ferrari ridotta ad una situazione di grande difficoltà, che era ben lontana dalle posizioni di classifica più importanti all’inizio degli anni Settanta. La Rossa iniziò a risollevarsi a partire dal 1974, anno dell’arrivo dell’austriaco a Maranello.

In quell’occasione però, il titolo mondiale lo sfiorò Clay Regazzoni, compagno di squadra e grande amico di Niki Lauda, il quale venne sconfitto all’ultima tappa di Watkins Glen da Emerson Fittipaldi al volante della McLaren. Ormai si era capito che la Ferrari stava ritornando al top, e quando il nativo di Vienne ebbe a disposizione la splendida 312 T progettata dall’ingegner Mauro Forghieri, non ci fu nulla da fare per nessuno.

Il 1975 fu una stagione dominata dall’austriaco, che conquistò così il suo primo titolo mondiale. La strada sembrava spianata per il bis anche nell’anno seguente, ma il destino, purtroppo, si mise di travero il primo agosto del 1976, quando avvenne il terrificante incidente sul tracciato del Nurburgring Nordschleife.

Lauda fu salvato da Arturo Merzario e da un altro gruppo di piloti, il quale riuscirono ad estrarlo dalla Ferrari immersa in un inferno di fiamme. Niki dovette combattere per giorni, all’ospedale di Mannheim, tra la vita e la morte, per poi tornare in pista addirittura al GP d’Italia, disputato poco più di un mese dopo dove concluse con uno splendido quarto posto.

Niki si giocò il titolo sino all’ultima gara contro la McLaren di James Hunt, suo grande rivale, che al Fuji lo riuscì a sconfiggere grazie alla rinuncia del viennese, il quale non corse il GP del Giappone per via delle avverse condizioni del meteo, simili a quelle che gli costarono quasi la vita in Germania.

Lauda ebbe poi modo e tempo di rifarsi, diventando campione del mondo ancora una volta l’anno dopo, sembra al volante della Ferrari. Tutto finito? Nemmeno per sogno, l’austriaco passò poi due anni molto difficili in Brabham, per poi andare in McLaren nel 1982, portandola al titolo mondiale nel 1984, battendo Alain Prost, suo compagno di squadra, per appena mezzo punto, prima di ritirarsi al termine della stagione seguente.

Niki Lauda, ecco la malattia che gli fu fatale

Dopo il ritiro definitivo, Niki Lauda rimase nell’ambiente della F1, lavorando prima in Ferrari e poi in Jaguar. Il suo ultimo ruolo è stato quello di presidente non esecutivo della Mercedes, contribuendo, assieme a Toto Wolff, a costruire il ciclo tecnico dominante andato in scena nel corso dell’era ibrida.

Lauda era una presenza fissa all’interno del team di Brackley, un punto di riferimento di cui nessuno poteva fare a meno. Fu lo stesso Niki a volere fortemente Lewis Hamilton in Mercedes, riuscendolo a convincere, al termine del 2012, a firmare il contratto ed a lasciare la McLaren.

Il britannico accettò una sfida difficile, dal momento che le frecce d’argento di quell’epoca non erano neanche lontanamente paragonabili a quelle che hanno dominato la scena negli anni seguenti. Purtroppo però, l’incidente del Nurburgring fece sentire le proprie conseguenze sul fisico di Niki Lauda, che già nel 2018 incominciò a farsi vedere di meno nel box della Mercedes.

Il 2 agosto di quell’anno venne ricoverato a Vienna subendo un trapianto di polmone, per poi morire nella notte tra il 20 ed il 21 maggio del 2021 a seguito di un’insufficienza renale. I funerali furono celebrati il 29 maggio, ed è stato sepolto con la tuta della Ferrari, come espressamente aveva desiderato.

Dopo la morte di Niki, venne disputato il GP di Monaco, vinto proprio da Hamilton, che corse con un casco rosso interamente dedicato alla memoria del suo mentore. Impossibile dimenticare la commozione del pilota inglese, così come quella del team principal Wolff. Tutto il mondo della F1, in quei giorni, gli dedicò lo spettacolo andato in scena sul tracciato del Principato, da Niki stesso tanto amato.

La vita del pilota austriaco è stata una sfida continua, ed averlo perso a soli 70 anni di età resta un grande rimpianto per tutti gli appassionati. La sua figura, all’interno del paddock, manca moltissimo ancora oggi, e pochi giorni fa la Mercedes ha deciso di dedicargli una via nei pressi della fabbrica della squadra.

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