MotoGP, arriva la verità di Paolo Simoncelli: fan del Sic a bocca aperta

Il padre di Marco Simoncelli è tornato a parlare delle terribili fatalità che possono colpire il pericoloso mondo del Motorsport.

Non c’è cosa più bella di osservare dei giovani crescere e lottare per le proprie passioni. Marco ne aveva una enorme, chiamata motociclismo. L’angelo di Cattolica, nato il 20 gennaio del 1987, ha avuto una carriera breve ma intensa. I suoi successi hanno lasciato nel cuore degli appassionati del Motomondiale un ricordo indelebile. Ciò che distingueva il Sic da tutti gli altri centauri era il suo carattere gentile e spontaneo. Un ragazzo sempre disponibile e pronto alla battuta.

Marco e Paolo Simoncelli (Ansa Foto)
Marco e Paolo Simoncelli (Ansa Foto)

Quando indossava il casco Marco si trasformava in un leone pronto ad azzannare la preda. Tanto buono e tranquillo fuori pista, quanto letale in sella ai suoi bolidi. Dopo il titolo in classe 250, il Sic era proiettato a diventare un campione anche in MotoGP. Se ne è andato troppo presto, a 24 anni, nella drammatica domenica di Sepang del 23 ottobre 2011. Manca a tutti i fan delle due ruote, ma soprattutto alla famiglia e agli amici che lo hanno visto crescere. Paolo è stato un padre straordinario che ha seguito il figlio in ogni angolo della terra. Nessuno più di lui conosce i rischi connessi alle corse su due ruote. Quella tragica domenica in Malesia era ai box, sperando di assistere al primo acuto di suo figlio nella classe regina.

Proprio sul SIC, Sepang International Circuit, un altro italiano, Pecco Bagnaia, avrebbe potuto conquistare il titolo mondiale, esattamente undici anni dopo la scomparsa di Marco. A tal proposito, in una intervista a MOW, Paolo ha spiegato che “qualora Bagnaia avesse fatto suo il titolo mondiale, la situazione non avrebbe alcun legame con la scomparsa di mio figlio. E’ accaduto, e basta. Se la medesima data potesse cambiare qualcosa, tornerei indietro. Purtroppo, nulla si può fare. Devo solo accettare quanto successo. Chiaro è che, sapere di un Gran Premio che ricade nello stesso giorno in cui mancò mio figlio, rende il tutto più – un sospiro e poi l’ammissione – questo posto ci ha dato tanto e ci ha tolto tanto. E non ho niente da recriminare, ci mancherebbe altro: io e mia moglie, in quanto genitori di nostro figlio, abbiamo fatto ciò che ci sembrava giusto, e lo rifaremmo. Marco era molto felice, quindi siamo contenti di come lui si sentisse”.

Simoncelli, quanti pericoli in pista

Negli ultimi anni sono scomparsi tanti giovani talenti che avrebbero voluto debuttare il MotoGP, proprio come riuscì a Marco nel 2010. Purtroppo “è il destino a decidere. Ognuno, come dicevo, ha la propria storia. In termini di sicurezza si è lavorato tanto, credo che sarebbe impossibile ottenere di più. Quando una cosa deve accadere, accade e basta, soprattutto negli incidenti di gruppo, nei quali i piloti rischiano di essere investiti. E’ il destino. Non c’è niente da fare”, ha analizzato Paolo Simoncelli. Di sicuro il destino ha teso un bruttissimo agguato al giovane romagnolo. La sua moto, invece, di scivolare, naturalmente verso la ghiaia, tornò in pista come un fulmine in quella maledetta gara malesiana.

Sopraggiunsero Colin Edwards e Valentino Rossi che non potettero evitare l’impatto. Fu una delle domeniche più drammatiche della storia del Motorsport. In un attimo si capì che per Marco era finita. Il corpo è esanime sull’asfalto del circuito, il casco ai piedi di Edwards e l’espressione di Valentino ai box presagiva una conclusione terribile. Le lacrime di Paolo Simoncelli a sugellare la morte di un ragazzo che era diventato un simbolo di forza ed allegria. Il Motorsport ci regala gioie uniche, ma quel giorno i fan furono travolti da una angoscia indicibile. I fan non dimenticheranno mai dove si trovavano esattamente quella domenica mattina in Italia, mentre in Malesia la bandiera rossa pose fine alle ostilità.

Guardiamo il concetto in generale. Fare il genitore è complicato. I genitori, seppur necessari e fondamentali, a un certo punto devono stare al loro posto. Quando il ragazzo arriva a una determinata età, si lega a un team – ha raccontato Paolo – ecco, quello è il momento in cui papà e mamma devono mettersi da parte, tralasciando i legami familiari. Meglio evitare di essere invadenti, non so se mi spiego. E’ più facile essere figli, mica genitori. Me ne rendevo conto con Marco: gli dicevo qualcosa, non andava mai bene. La stessa cosa gli veniva detta da Alice, andava benissimo. Il classico rapporto tra papà e genitore. Ma ho capito di quanto i figli vogliamo avere i paletti”.

Per arrivare in alto occorre avere “fame”, quella che non era mai mancata a Marco ma che in altri casi, tra i più giovani, a volte viene meno. “Io potrei anche rinunciare a mangiare e dico che non mi cambierebbe la vita. Parlo dei giovani: un ragazzo che parte dalla minimoto, si allena tre volte al giorno, vuole crescere nell’obiettivo di entrare nel professionismo, ci riesce e allenta la tensione, poi si perde per strada. Ed è un peccato, ma non solo. Vedere tanti giovani smarrirsi mi fa decisamente arrabbiare”, ha concluso Paolo Simoncelli.

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