Michele Alboreto, avrebbe compiuto 65 anni il volto gentile della Formula 1

Sarebbe stato un compleanno speciale per Alboreto, scomparso nel 2001 in un test privato. La storia di un campione gentile quanto talentuoso (e sfortunato)

Michele Alboreto (foto di Pascal Rondeau/Getty Images)
Michele Alboreto (foto di Pascal Rondeau/Getty Images)

Oggi, 23 dicembre, avrebbe compiuto 65 anni uno dei campioni italiani più amati. E non solo per il suo stile di guida, ma anche per il suo carattere: Michele Alboreto.

Alboreto, un campione che si è fatto da solo

Diplomato perito meccanico, Alboreto non passò dal kart, come tanti suoi colleghi, ma dalla Formula Monza, dove era riuscito a debuttare grazie all’aiuto di tanti amici che avevano visto in lui la stoffa del fuoriclasse. Perché non veniva da una famiglia benestante e non poteva permettersi di guidare. Ma grazie alla sua grande voglia e ovviamente alle sue capacità, è riuscito ad arrivare sempre (o quasi) dove voleva.

Nel 1980 si portò a casa il titolo europeo di Formula 3, poi alla Minardi in F2 regalò la sua prima e unica vittoria, battendo i fortissimi team inglesi. Risultati questi che lo fecero entrare in Formula 1 nel 1981, con la Tyrrell, squadra famosa per scoprire talenti. E anche stavolta ci videro lungo. La monoposto non era più quella che vinceva negli anni 70, ma Alboreto seppe tirare fuori il meglio anche da quella situazione, andando addirittura a vincere due GP, negli Usa.

Era caparbio e talentuoso Michele, ma anche gentile ed educato come pochi. Caratteristiche che non potevano non colpire un grande come Enzo Ferrari, che decise di fargli spazio nel suo team nel 1984.

L’occasione mancata in Ferrari e la morte misteriosa

Dopo anni senza piloti italiani, vedere Alboreto sulla Ferrari fu una gran botta di adrenalina non solo per il Drake ma anche per i tifosi della Rossa. La pole e la vittoria nel 1984 a Zolder, lì dove era finita la vita terrena di un grande ferrarista come Gilles Villeneuve, sembravano quasi un segno del destino. E i tifosi per questo lo adottarono subito come loro idolo. Merito anche di quel carattere che lo faceva diventare una persona come tutte.

Nel 1985 si giocò la grande chance di portare a casa il titolo. Lui ci mise l’anima e fino al GP d’Olanda fece il suo, con due vittorie (Canada e Germania) quattro secondi posti e due terzi posti. A cinque gare alla fine, praticamente a pari classifica con Prost, il suicidio di Ferrari che, convinto che il fornitore tedesco di turbine KKK favorisse la Porsche, decise, nel momento clou della lotta per il titolo, di passare alle americane Garrett. E arrivarono ben 4 ritiri, che misero fine ai sogni di gloria di Alboreto.

Qualcosa si ruppe nel giovane ragazzo italiano, ma soprattutto in quella Ferrari che cominciò a vacillare, colpa anche di un Ferrari ormai vecchio e incapace di guidare il team ed evitare le lotte intestine. L’ultimo acuto a Monza col la doppietta con Berger a poca distanza dalla morte del Drake. Poi l’addio alla Rossa e una carriera in lenta discesa tra Tyrrell, Larrousse, Arrows, Footwork, Scuderia Italia e Minardi. Con le ruote coperte ritrovò la voglia di guidare, vincendo nel ’97 anche la 24 ore di Le Mans. E proprio provando il prototipo Audi in Germania nel 2001 trovò la morte, ancora avvolta nel mistero. Un addio improvviso che colpì tutti.

Poco tempo dopo la moglie Nadia parlò così di Alboreto: “È riuscito a realizzare il suo sogno di correre in Formula 1 basandosi solo sul suo talento. Non era ricco di famiglia, ha dimostrato che con la volontà, la determinazione e l’impegno si possono raggiungere gli obiettivi più grandi”. Ed è davvero così. Oggi, uno come lui, manca tanto.

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Alboreto nel 1986 con la Ferrari (foto di Mike King/Getty Images)
Alboreto nel 1986 con la Ferrari (foto di Mike King/Getty Images)
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