Andretti e gli altri: la storia (poco fortunata) dei piloti americani in F1

Solo Mario Andretti e Phil Hill hanno avuto successo in Formula 1. Per gli altri piloti made in Usa invece pochi alti e molti bassi

Mario Andretti (Foto Getty Images)
Mario Andretti (Foto Getty Images)

Che la F1 non sia mai stata in cima ai sogni degli americani lo si è capito fin dai suoi esordi. Finchè la tappa di Indianapolis è stata in calendario, i piloti a stelle e strisce hanno preso la tappa Usa del Mondiale semplicemente come la gara di casa e nulla di più. Ma in generale il rapporto tra i piloti americani e il Circus è sempre stato molto travagliato. E sono ben pochi i casi vincenti.

Mario Andretti e Phil Hill le eccezioni Usa in F1

Di circa 140 driver americani nel Circus, solo Phil Hill e Mario Andretti hanno lasciato veramente il segno. Hill (che non ha niente a che vedere con Graham e Damon) si mise al volante di una monoposto di Formula 1 nel 1958 e riuscì subito a cogliere ottimi risultati. Dall’anno successivo passò in Ferrari e ci restò per ben 4 anni, ottenendo anche il mondiale piloti nel 1961 e diventando così il primo campione del mondo statunitense, oltretutto con meno di 30 Gran Premi sulle spalle.

Bisognerà aspettare Mario Andretti per vedere un altro pilota Usa vincere il titolo. Esule istriano, fuggì negli Stati Uniti nel 1955, riuscendo a ottenere poi la cittadinanza americana nel 1964. Iniziò la sua carriera in Formula 1 proprio nel GP degli Stati Uniti, per poi approdare per due stagioni in Ferrari. La sua annata più importante, però, fu quella del 1978 quando, a 38 anni alla guida della Lotus, trionfò nel Mondiale ottenendo il successo matematicamente a Monza. Nessun pilota americano è più riuscito nell’impresa dopo di lui.

Oltre a loro, sono ben pochi i “vincenti” made in Usa in F1. Dan Gurney, classe 1931, attivo in F1 dal 1959 al 1970, ebbe l’occasione di pilotare la Ferrari, nel 1959, ma ottenne le sue 4 vittorie alla guida di Porsche, Brabham ed Eagle. Richie Ginther ne vinse solo uno con la Honda nel 1965. L’americano che vanta più presenze però è Eddie Cheever: per lui ben 132 Gp, mai una vittoria ma 9 podi (2 secondi posti e 7 terzi). A vincere almeno una volta furono anche Masten Gregory e Henry Shell.

Da Andretti Jr a Speed, tra flop e tragedie

Per gli altri piloti Usa invece la F1 non è stata una grande avventura, anzi. Un rapporto difficile, spesso drammatico, basti vedere le vicende di Peter Revson e Mark Donohue, scomparsi in circostanze tragiche al volante di una monoposto da Gran Premio tra il 1974 e il 1975.

Fallimentare fu l’esperienza di Michael Andretti, approdato alla McLaren nel 1993 ma silurato prima della fine della stagione per fare posto a Mika Hakkinen. Un altro caso emblematico è quello di Al Unser Jr, che come Michael Andretti era fra i più celebrati campioni americani dell’epoca. Guidò a metà novembre ’91 la Williams FW14 Renault sul circuito portoghese dell’Estoril. Si trattava della vettura con cui Mansell contese fino all’ultimo il titolo iridato alla McLaren di Senna. Un test nel quale Unser Jr girò ad oltre un secondo e mezzo da Riccardo Patrese allora titolare della scuderia inglese, e che perciò non fu sufficiente per regalargli il posto.

L’ultimo statunitense ad avere un posto fisso prima di Alexander Rossi, portacolori della Manor per alcune gare della stagione 2015, fu Scott Speed che nel 2006 e per parte del 2007 corse al volante della Toro Rosso per poi lasciare il passo a Sebastian Vettel.

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Phil Hill (Foto di A. Foster/Central Press/Getty Images)
Phil Hill (Foto di A. Foster/Central Press/Getty Images)
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