Ma il motore Ferrari era regolare o no? Non lo sa nemmeno la Federazione

Il presidente della Federazione internazionale dell’automobile, Jean Todt, è costretto ad ammettere: non abbiamo prove dell’irregolarità dei motori Ferrari

Il team principal della Ferrari, Mattia Binotto (Foto Charles Coates/Getty Images)
Il team principal della Ferrari, Mattia Binotto (Foto Charles Coates/Getty Images)

Per essere un comunicato che doveva fare chiarezza e ribattere categoricamente alle accuse dei sette team anti Ferrari, la nota diramata questa mattina dal presidente della Federazione internazionale dell’automobile, Jean Todt, non ha fatto altro che sollevare ancora più dubbi. Quello che emerge dalle parole del capo dell’automobilismo mondiale, infatti, è che, più che essere coperta dal segreto, la presunta irregolarità dei motori Ferrari è un mistero anche per gli stessi tecnici della Fia.

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“Le estese e approfondite indagini svolte durante la stagione 2019 hanno sollevato sospetti che il propulsore della Ferrari potesse essere considerato fuori dalle regole”, si legge. “La Ferrari si è fermamente opposta ai sospetti e ha ribadito che il suo motore ha sempre rispettato i regolamenti. La Fia non è rimasta pienamente soddisfatta, ma ha deciso che intraprendere ulteriori azioni non avrebbe necessariamente portato alla conclusione del caso, per via della complessità della questione e dell’impossibilità materiale di fornire una prova definitiva delle violazioni”.

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Sulla Ferrari sospetti, ma nessuna prova

Insomma, la Federazione ha individuato degli indizi di colpevolezza della Rossa, ovvero dei dispositivi che potrebbero essere stati usati per alterare il flusso di carburante e la sua lettura, ma non è stata in grado di dimostrare che sono stati usati per imbrogliare. Quella di Maranello, dunque, si potrebbe definire un’assoluzione per assenza di prove. Da qui la necessità, “per evitare le conseguenze negative di una lunga controversia”, prosegue ancora Todt, di giungere ad un accordo tombale e chiudere così questa spinosa vicenda. Almeno, così speravano alla Fia, perché in realtà queste parole non hanno fatto altro che gettare ulteriore benzina sul fuoco della diffidenza delle squadre avversarie.

Beninteso, Todt ha difeso il suo diritto alla segretezza del patto sottoscritto con la Ferrari: “Si tratta di uno strumento legale riconosciuto come componente essenziale di qualsiasi sistema disciplinare, utilizzato da molte autorità pubbliche e da altre federazioni sportive in dispute del genere”. Dunque, probabilmente un accordo del genere reggerebbe anche in tribunale, di fronte alla causa che i sette team dissidenti hanno già minacciato. Ma un processo del genere, se andasse avanti, rappresenterebbe comunque una botta micidiale per l’immagine sia della Federazione che del Cavallino rampante, indipendentemente dal suo esito finale.

La controversia sui soldi

Ed è proprio questo che Mercedes, Red Bull e gli altri vorrebbero. In ballo, infatti, più che le semplici questioni sportive o regolamentari, ci sono quelle economiche: nello specifico, le trattative per il rinnovo del Patto della Concordia dal 2021 in poi. I rivali della Ferrari non ci stanno proprio a riconfermare lo storico bonus che il team italiano incassa ogni anno. E Toto Wolff ha il dente particolarmente avvelenato per la clausola che gli impedisce di saltare da Brackley a capo della Formula 1, voluta proprio dalla Rossa. Si tratta di vere e proprie dichiarazioni di guerra, da entrambi i fronti. Ed è difficile pensare che le parole pronunciate oggi da Jean Todt bastano a chiudere definitivamente qui questa brutta vicenda.

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Fabrizio Corgnati

Il presidente della Fia, Jean Todt (Foto Charles Coates/Getty Images)
Il presidente della Fia, Jean Todt (Foto Charles Coates/Getty Images)
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