Piero Ferrari, quel retroscena su Gilles Villeneuve: stenterete a crederci

In una intervista, il figlio del grande Enzo Ferrari parla degli anni di Gilles Villeneuve con la Rossa, a 40 anni dalla sua scomparsa.

Era l’agosto del 1977 quando a Maranello arrivò un ragazzo di 25 anni, campione di motoslitte in Canada, a sostituire un mostro sacro come Niki Lauda. E quello era Gilles Villeneuve. Piccolo, quasi un fantino viste le misure (1.56 di altezza, 50 chili di peso), sembrava tutto tranne che un pilota di auto. E invece in pochi anni si trasformò in uno degli idoli della F1, uno dei piloti più osannati, ancora oggi.

Piero Ferrari e Gilles Villeneuve (ANSA)
Piero Ferrari e Gilles Villeneuve (ANSA)

Fu una vera scommessa quella di Enzo Ferrari, che però sviluppò fin da subito per quel pilota un grande amore. Proprio come con Nuvolari. Un carattere esuberante al volante, a cui faceva da contraltare una vita privata molto riservata. Ma Villeneuve piaceva per quello che faceva in pista, non per come si comportava fuori. Era un asso, a volte troppo esuberante e questo troppe volte gli è costato caro. Perché ci campionati ne avrebbe potuti portare a casa. E invece niente.

Piero Ferrari racconta Gilles Villeneuve

Un amore unico quello sbocciato con i tifosi della Rossa che è davvero qualcosa di incredibilmente speciale. E lo è ancor di più oggi, che sono passati 40 anni da quel maledetto 8 maggio 1982, quando a Zolder, in Belgio, durante le qualifiche, Gilles Villeneuve a 32 anni perse la vita dopo un incidente con la March di Jochen Mass.

“Era un ragazzo canadese normale ma molto dotato. Aveva dei riflessi e delle qualità che gli permettevano di guidare qualsiasi mezzo. Aveva doti naturali incredibili”, ha raccontato Piero Ferrari, figlio del grande Enzo, ai microfoni di Motorsport.com. “Dopo Lauda avevamo preso un giovane, ma era una di quelle scommesse che piaceva fare a mio padre. Lui investiva sui talenti, sul capitale umano. Non cercava il sostituto di Lauda ma scrivere una storia di successo come capitato altre volte”.

Un talento unico che entrò nel cuore della gente. E Ferrari se lo spiega così: “Aveva un istinto naturale incredibile. Guidava tutto al 100%, anzi, oltre i limiti. Dal primo giorno che montò su una F1 i freni fumavano, staccava sempre dopo gli altri, utilizzava la macchina sempre di più. Era così, utilizzava tutto al massimo. Lui guidava più col cuore che col cervello. E per questo la gente lo amava. Come faceva le cose lo resero unico. Come battagliava anche per un secondo posto. Lui andava controsterzo con tutto, anche con il pick up con cui portava la sua roulotte. Mi ricordo nel 1980 a Long Beach che rimase senza benzina in pista perché fece 5 giri invece che 3. Forghieri si imbufalì ma Gilles, rientrato ai boxi disse ‘Ma era così bello guidare l’auto con le gomme usate in controsterzo…’. Questo era Gilles, amava guidare le macchine oltre i limiti”.

E pensare che Villeneuve non doveva neanche rimanere in Ferrari per fare posto a Jody Scheckter, ma Ferrari racconta come andò: “Eravamo a Fiorano e sotto c’era Reutemann che doveva firmare per noi. Io ero su e dovevamo invece annunciare a Gilles che non avremmo continuato, invece poi fummo interrotti perché arrivò la notizia che Reutemann aveva firmato con Lotus. Gli rimase qualche dubbio a Villeneuve su quello che volevamo dirgli, ma alla fine rinnovò”.

Fu lo stesso Gilles Villeneuve che bocciò il primo cambio semi-automatico di F1, sviluppato qualche anno dopo sempre in Ferrari da Barnard. Ma smentisce la favola della troppa elettronica sull’auto che lo fece imbestialire: “Il problema era che i due pulsanti li doveva azionare con i pollici. E ci disse ‘Io non posso usare i pollici, perché devo usarli per tenere stretto il volante. Se mi mettete i pulsanti dietro, come lampeggio con i fari, posso guidarla. Così nacque il paddle shift“.

Poi ammette: “Il 1982 poteva essere l’anno di Gilles. Era veloce la macchina, rischiò di diventarci campione anche Tambay. Erano veloci sia lui che Pironi, erano molto vicini. Gilles aveva quel di più che era questa sua incoscienza che aveva guidando. A Imola c’ero e non mi sono reso conto, così come gli altri, che stessero guidando uno contro l’altro. Portò sicuramente del gelo tra i due quel risultato ma non influì nell’incidente di Zolder. Gilles guidava sempre al massimo, quindi non era condizionato da fatti esterni. Fu una distrazione quell’incidente, niente di più. Il primo incidente con noi fu così, con un vero decollo, l’ultimo anche. Ma non ci si aspettava che finisse così”.

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