C’è un pilota gay in F1? Mike Beuttler, il coraggio di fare coming out

Avrebbe compiuto oggi 81 anni il pilota Mike Beuttler, che dopo la sua avventura in F1 confessò di essere omosessuale, unico nella storia.

Mike Beuttler (foto di Reg Burkett/Daily Express/Getty Images)
Mike Beuttler (foto di Reg Burkett/Daily Express/Getty Images)

Una carriera tutt’altro che brillante in F1, ma una storia davvero incredibile quella di Mike Beuttler, pilota inglese nativo de Il Cairo, morto a soli 48 anni nel 1988 e che oggi, 29 dicembre, avrebbe compiuto 81 anni.

Mike “il tappo”

Aveva iniziato a correre tardi Mike, nel 1964, a ben ventiquattro anni, quando alcuni coetanei come Bruce McLaren a Pedro Rodriguez erano già considerati veterani della F1. Lui invece era ancora invischiato nelle serie minori, a combattere per un posto al sole.

Di talento non ne aveva troppo, ma era un pilota ostico, terribilmente difficile da superare. Tanto che nel paddock era definito Mike The Blocker, Mike il tappo, tanto era ostinato nel difendere la posizione dai piloti più veloci che gli erano alle calcagna. Nel 1968 arrivò la sua prima vera grande occasione, quando l’agente di cambio Ralph Clarke divenne finanziatore della carriera di Mike Beuttler, prima in Formula 3 e poi in Formula 2.

Pur essendo un pilota solido e affidabile, non riuscì mai a emergere veramente. E i risultati lo dimostravano. Ma il carattere non gli mancava, soprattutto in pista. E in un momento storico come quello, era l’importante. E così arrivò anche la sua occasione in F1. Merito, oltre a Clarke, di altri tre affaristi della Londra che conta, David Mordaunt, Allistair Guthrie e Jack Durlacher. I quattro infatti crearono da zero il team Clark-Mordaunt-Guthrie-Durlacher Racing e affidarono una March 711 gialla proprio a Beuttler.

Mike Beuttler e le malelingue della F1

A dire la verità il mondo della F1 negli anni 70 era veramente impregnato di machismo, con i piloti eletti a sex simbol tutto muscoli e velocità, sempre circondati da belle donne. Ma a Mike Beuttler tutto questo non piaceva. Anche lui portava belle e vistose ragazze sulla linea di partenza, ma la sua figura era vista con sospetto.

Già all’epoca circolavano voci su una sua possibile omosessualità. E tutto questo fu amplificato anche dal fatto che anche Mordaunt, Guthrie e Durlacher erano notoriamente legati agli ambienti omosessuali. E mai come in questo caso i benpensanti dicevano che “due più due fanno sempre quattro”. Lui però non si lasciò coinvolgere troppo da queste malelingue e continuò a lottare, per tre stagioni, in F1. I risultati? Pochi, a dire il vero: ventinove gare e un settimo posto al Montjuich, Barcellona, nel 1973, come miglior piazzamento e neanche un punto iridato portato a casa. Alla fine decise di dire addio, si rivedrà in pista solo qualche anno dopo alla 1000 chilometri di Brands Hatch.

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Andò a vivere negli Usa e solo dopo qualche tempo confessò la sua omosessualità, il primo e sinora unico caso in F1. Morì ad appena 48 anni nel 1988, condannato dal virus dell’HIV. Ann Bradshaw, una consulente di PR del motorsport, anni dopo disse: Nell’ambiente tutti sapevano che era gay, non era un segreto ed è stato accettato”. Sarà, ma la realtà diceva che essere gay in F1, come nella vita reale, era una colpa, una macchia da coprire. L osa bene anche Ayrton Senna, anni dopo tacciato di essere omosessuale dal suo connazionale Nelson Piquet, quasi fosse una colpa da espiare.

Ma se nella F1 il caso di Mike Beuttler è solo una goccia in un mare di ipocrisia, negli altri sport motoristici il suo esempio è stato seguito da altri piloti. Vedi l’ex vincitore alla 24 ore di Le Mans Danny Watts, ma anche Abbie Eaton e Sarah Moore (entrambe partecipanti alla W Series), oppure Richard Moore, ex pilota nella Britcar Endurance e fondatore dell’associazione a tutela dell’inclusività nel motorsport, Racing Pride. Perché non ci si deve mai vergognare di essere ciò che siamo. Ma essere orgogliosi di se stessi e andare avanti, a testa alta, proprio come Beuttler.

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