Pur avendo conquistato tanti titoli, la Red Bull ha bruciato anche diversi piloti. Uno di questi, Albon, spiega cosa non funziona nel team.
Dal 2005, anno di approdo in F1 del marchio Red Bull, da Milton Keynes sono passati parecchi piloti. In pochi hanno davvero lasciato il segno. Molti si sono persi per varie ragioni. Una di queste è la severità del talent scout Helmut Marko, per cui se non si risponde immediatamente alle attese si viene tagliati fuori. Giusto per fare un paio di nomi sacrificati in tempi rapidi dall’austriaco, ma poi sbocciati in altre discipline del motorsport non si può non citare Sébastien Buemi, baluardo del WEC e della Formula E, ma altresì Sébastien Bourdais, esploso nelle corse americane, o ancora Jean-Eric Vergne, unico ad essersi finora aggiudicato due titoli nella serie al 100% elettrica.
Quindi, ci sono quelli che nel Circus ci sono restati più a lungo, seppur azzoppati nello spirito. Il caso più eclatante è quello di Daniel Ricciardo, forgiato dagli energetici, e in seguito lasciato alla deriva non appena dal vivaio è sbucato Verstappen. Deriso dal plenipotenziario non appena espresso il desiderio di guardare altrove, l’australiano si è trovato immerso in un vortice senza fine da cui non è più riuscito ad uscire. Neppure la vittoria al GP di Monza del 2021 lo ha aiutato, tanto che lo scorso anno ha subito l’onta del licenziamento da parte della McLaren.
Salvo Sebastian Vettel non sono tanti quelli che sono usciti integri dalla scuola della bevanda. Ma per quale motivo? Oggi essenzialmente per una motivazione, che porta un nome e un cognome.
Chiunque nell’ultimo periodo si sia trovato a passare per l’equipe fondata da Dietrich Mateschitz ha fatto una brutta fine. E il perché è proprio Mad Max. Il prescelto dalla squadra per il successo. E’ facile comprendere, quindi, che chiunque gli sia affianco dovrà faticare.
Basti vedere il destino capitato a Gasly, un giovane di buone speranze, a cui non è mai stata data una vera chance. O meglio, gli è stata offerta troppo in anticipo e mi più replicata. Di questo ha parlato Alex Albon, ovvero il pilota che dopo il francese ha dovuto subire questa fustigazione sportiva.
“Ricordo che quando presi in mano la monoposto per le prime sessioni, pensai a Pierre. E capì qual era stata la sua difficoltà“, ha raccontato al The Players’ Tribune. “Non voglio gettare ombre su nessuno, ma è chiaro che la vettura era stata costruita appositamente sull’olandese. Il suo stile di guida, il modo in cui desidera l’assetto è molto particolare, motivo per cui non c’è possibilità per un altro di adattarsi. Certo, qualche cambiamento si può apportare, ma non puoi stravolgere un progetto“.
In sintesi, per l’anglo-tailandese, la scuderia lavorerebbe al 100% a beneficio del figlio d’arte, con l’unico intento di farlo vincere. E poco importa se questo danneggia l’altra macchina.
“Rispetto a compagni di box come Russell o Leclerc, io ho sempre amato avere più carico sul musetto, ma quando sono arrivato a Milton Keynes è stato pazzesco. Potevi far girare la monoposto anche soffiandoci sopra”, ha infine svelato le preferenze estreme del due volte campione del mondo.
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