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Formula 1

Quando l’amore fa fatica a sbocciare: la storia della F1 negli Usa

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Oscar Slaifer

Il rapporto tra il Circus e gli Usa è stato sempre molto travagliato. Tanti circuiti e poco successo. Ma negli States si è comunque fatta la Storia

Indianapolis 2005, quando solo sei vetture partirono per il GP più contestato della storia (Foto di Christopher Lee/Getty Images)

Gli Usa sono sempre stati un mondo a parte, in tutto. E lo sport non è da meno. Difficile che ci sia qualcosa che possa accomunare il Vecchio Continente con il Nuovo. Il soccer fatica a sfondare, gli americani preferiscono il football. Il basket? Forse è l’unico punto d’incontro. E il mondo dei motori non è da meno in questo confronto Usa-Europa.

Usa e F1, un GP “itinerante”

La F1 ha sempre faticato a entrare nel cuore degli States. L’antenata della massima serie qui si deve all’imprenditore William Kissam Vanderbilt, che rimasto folgorato dallo spettacolo del Gran Premio delle Ardenne, fondò la Vanderbilt Cup a Long Island.

Alla fine degli anni Cinquanta il GP degli Usa entrò ufficialmente nel calendario di Formula 1: la prima gara si corse nel 1958 a Riverside in California e a trionfare fu l’eroe locale Chuck Daigh. Poi ci si spostò a Sebring, in Florida, e a vincere fu Bruce McLaren. In generale però la sede dei gran premi cambiò continuamente per tutti gli anni Sessanta,
prima di trovare “casa” a Watkins Glen (New York) dove ci rimase per vent’anni. Qui nel 1969 un altro grande festeggiò la sua prima vittoria in Formula 1, Jochen Rindt.

Un circuito bello quanto pericoloso. Qui perse la vita François Cevert nel 1973, grande amico di Jackie Stewart, che dopo quel lutto decise di appendere il casco al chiodo. Un anno dopo toccò a Helmuth Koinigg.

Con la fine degli anni Settanta la pista di Watkins Glen cominciò ad avere problemi, con i piloti che ne lamentarono i numerosi pericoli per il terreno sconnesso. Ma è nel decennio successivo che gli Usa e la F1 vissero il periodo più florido, con ben tre Gp in calendario: Watkins, Long Beach e Detroit. Alla fine a vincere fu Phoenix: il circus si fermò qui per tre anni e a dominare fu la McLaren con Prost (1989) e Senna (’90-91). Prima di una lunga pausa.

Indianapolis croce e delizia, poi Austin

Il Gran Premio degli Usa è tornato in calendario solo nel 2000 e su un circuito storico come Indianapolis. E a vincere non poteva essere che un marchio storico come la Ferrari, grazie a Michael Schumacher.

Qui si sono scritte pagine storiche della F1, anche se molto controverse. Come nel 2002, quando l’arrivo in parata delle due Rosse vide vincere per pochi millesimi Rubens Barrichello per colpa do uno Schumi che rallentò troppo nel rettilineo finale per farsi affiancare dal brasiliano. Nel 2005 invece l’episodio più assurdo, con il ritiro prima delle partenza delle vetture gommate Michelin per il rischio di scoppio degli pneumatici sulla lunga sopraelevata prima del traguardo.

L’ultimo Gp arrivò nel 2007, con la vittoria del giovanissimo Lewis Hamilton. Poi il circuito dichiarò di non poter più ospitare l’appuntamento a causa di difficoltà economiche. la verità però è che la F1 negli Usa non ha mai attecchito veramente come la Indy o la CART. Patriottismo? Sicuramente sì. Sta di fatto che si è tronati in America solo nel 2012, ad Austin. Un Gp amico di Hamilton, che vi ha vinto cinque volte su otto.

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Rubens Barrichello nel 2004 (Foto di Clive Mason/Getty Images)
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