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Formula 1

Senza Kimi Raikkonen, la F1 moderna sarà (ancora) più triste

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Oscar Slaifer

Un pilota anticonformista, capace di imprese incredibili ma anche poco baciato dalla Dea bendata. La storia di Raikkonen sta tutta qui

Kimi Raikkonen nel 2007, anno del suo unico trionfo iridato. (Photo by Paul Gilham/Getty Images)

Doveva arrivare, prima o poi, la decisione. Ma certo che il sapere che a fine anno Kimi Raikkonen smetterà con la F1 è comunque un colpo al cuore. Di quelli che andranno digeriti lentamente, visto che l’addio sarà solo tra qualche mese. Ma farà comunque male. Perché di campioni come lui, purtroppo, il Circus non ne ha più. Forse.

Raikkonen, i numeri bugiardi di un campione assoluto

Era il 4 marzo del 2001 quando Raikkonen esordì nel Mondiale di F1. Arrivò con poche gare ufficiali su monoposto, appena 23, ma il salto era inevitabile, perché di talento il finlandese ne aveva da vendere. Se ne accorse durante i test Sauber lo stesso Michael Schumacher, che poi lo designò come suo erede nel 2006, al momento del suo primo ritiro.

Il salto in McLaren doveva essere quello dell’esplosione, che arrivò ma che fruttò solo due secondi posti in classifica nel 2003 e nel 2005. Poi la Ferrari, in due esperienze, molto diverse tra loro: la prima che portò al Mondiale 2007 (l’ultimo della casa di Maranello), l’unico titolo di Kimi, con un 2008 sfortunato e vissuto come un campione messo da parte per alimentare il sogno di Felipe Massa e poi per fare posto a Fernando Alonso. Poi un ritorno in una Rossa competitiva sì ma non da titolo, per fare da spalla a Sebastian Vettel.

In mezzo l’esperienza alla Lotus, che riportò alla vittoria e in alto come un tempo, e infine gli ultimi anni in Alfa Romeo, a fare da chioccia ad Antonio Giovinazzi e a emozionare, ancora, con le sue partenze, i sorpassi e le difese arcigne.

Ha vinto (finora) 21 Gran Premi (10 con la Ferrari, 9 con la McLaren e 2 con la Lotus) diventando il finlandese con più vittorie all’attivo e detiene il record del maggior numero di Gran Premi disputati. Ma Raikkonen avrebbe meritato molto di più. Perché ha saputo emozionare come pochi, un uomo di ghiaccio, Iceman, che ha scaldato i cuori di milioni di tifosi con le sue rimonte e sorpassi mozzafiato.

Imprese di un pilota anticonformista

A tradirlo spesso l’affidabilità, che gli è costata almeno un paio di Mondiali, come quello del 2003, perso per due punti contro Schumi, o nel 2008. Ma è stato capace anche di grandi prestazioni, come a Suzuka quando con la McLaren vinse partendo diciassettesimo. E poi che rimonta a Lewis Hamilton nel 2007, 17 punti ripresi in due gare quando le vittorie valevano ancora 10 punti è qualcosa d’incredibile. Fortuna? Poca, anzi, Raikkonen è in credito con la sfiga.

Ha vinto anche con macchine palesemente inferiori alla concorrenza, vedi nel 2009 a Spa, con una Ferrari davvero “povera”, o nel 2018 in Texas dopo una gara da incorniciare. Ha saputo incarnare ancora, tra gli ultimi, il pilota vero, quello freddo in pista quanto veloce, umano, più di tutti, fuori, con le sue abitudini, i suoi vizi (pochi, vedi l’alcol).

Uno stile che è un non-stile in realtà, perché Raikkonen è sempre stato uno normale. Uno di noi. Ed è per questo che ha conquistato tutti. E come lui ce ne sono sempre meno. Alonso? Sì. Hamilton? Forse, così come Verstappen e Leclerc. Di sicuro Raikkonen ci mancherà. E ora godiamocelo, ancora per qualche GP.

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Raikkonen quest’anno sull’Alfa Romeo (Photo by Lars Baron/Getty Images
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Oscar Slaifer

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