Le continue frecciate e battute al vetriolo tra Wolff e Binotto avrebbero una spiegazione. Il responsabile Ferrari rivela cosa c’è dietro.
Non si sono mai amati e la ragione sta tutta nell’incompatibilità di carattere. Uno, Toto Wolff, è un manager nato, arguto, affarista e piuttosto capace. L’altro, Mattia Binotto, è un ingegnere, cresciuto a pane e numeri, poco avvezzo a gestire umanamente i piloti, e probabilmente una banderuola. Basterebbe già questa sintesi per chiarire il perché delle tensioni esplose quest’anno, culminate con le parole pronunciate, o meglio, non pronunciate, dal boss Mercedes a Imola, quando ha in pratica snobbato la Rossa in ottica iridata per il 2021.
Interrogato da Sky Italia sul rapporto con l’omologo delle Frecce, il neo 51enne ha precisato che da parte sua “non c’è alcun odio, ma solo rispetto e voglia di battere l’avversario per riportare il Cavallino dove merita di essere”.
In vena di confessioni, il tecnico nato a Losanna ha poi tirato fuori un altro argomento che ha fatto parecchio discutere nei mesi scorsi, ovvero il famoso patto aumm aumm con la Federazione a proposto dell’irregolarità del motore della SF90.
“Abbiamo fornito i dettagli della power unit ai federali e poi abbiamo deciso che era meglio guardare al futuro e collaborare per eliminare ogni zona grigia del regolamento”, ha affermato. “La questione del segreto non deve stupire. Qualcuno mai ha mostrato il suo propulsore? In F1 non è mai accaduto e mai succederà”, ha concluso auspicando una rinascita per la propria equipe, rimasta con un pugno di mosche in mano dopo il fattaccio dell’indagine sulla PU della vecchia monoposto e imbrigliata nel congelamento dello sviluppo delle auto almeno fino al 2022. “Abbiamo solide basi da cui partire”, le sue parole che vogliono tirare su il morale dei tifosi scoraggiati e decisamente perplessi sulla sua gestione del team.
Chiara Rainis
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