Dietro la nebbia industriale della Shandong prende forma un’idea semplice e ambiziosa: fare dei pneumatici una piattaforma tecnologica, non solo un anello di gomma. La velocità con cui la Cina trasforma progetti in infrastrutture qui si tocca con mano.
In Cina le cose corrono. Qui anche un centro prove arriva a scala-paese: 6,08 milioni di metri quadri, l’equivalente di 850 campi da calcio. Oggi più di metà è già attiva, con aree per test su ADAS e veicoli a guida autonoma. Entro tre anni, secondo i piani, si chiuderà il cerchio con un anello di alta velocità capace di reggere passaggi a 400 km/h. Non stupisce: tra i principali azionisti c’è Sailun, con il 57% del capitale, affiancata da FAW.
Il marchio, nato nel 2003, è già il decimo produttore mondiale per fatturato. Dati ufficiali parlano di 4,2 miliardi di euro, 9 stabilimenti, 21.000 dipendenti. Output annuo: 106 milioni di gomme auto, 27 milioni tra bus e truck, oltre 447.000 tonnellate di prodotti speciali. Numeri che raccontano un ritmo preciso: studiare, industrializzare, scalare.
La radice è accademica. Tutto parte dalla Qingdao University of Science and Technology, culla di competenze su materiali e processi. Da qui esce Mesnac, oggi tra i leader globali di macchine per la produzione di pneumatici. Poi arriva Ecombine, che porta in fabbrica la miscelazione in fase liquida sviluppata dall’EVE Rubber Research Institute. In casa Sailun la chiamano Liquid Gold Technology; sul mercato, EcoPoint3. Obiettivo chiaro: mescole più omogenee, minor resistenza al rotolamento, grip sul bagnato più stabile, usura più lenta. Il risultato pratico? Più efficienza per flotte e consumatori, meno variabilità tra lotto e lotto. Non tutti i dettagli sono pubblici; i dati fine-grain su coefficienti di attrito e cicli di fatica non sono stati divulgati.
La verticalizzazione non finisce qui. Nella galassia compaiono Maxam (ruote OTR e agricoltura fino a 63”), segmento dominato da Michelin, Bridgestone e Goodyear, e la logistica di Kengic, con sistemi di smistamento che dichiarano picchi di 20.000 pezzi/ora. La logica è coerente: sviluppare tecnologia per sé e poi venderla anche agli altri. È un doppio margine, industriale e di know-how.
Il prodotto deve parlare in pista. Un esempio ha fatto il giro degli addetti ai lavori: la Xiaomi SU7 portata al limite al Nürburgring. Prima con i Sailun Podium Track PT01 di primo equipaggiamento, poi con Pirelli P Zero Trofeo RS. Sul tracciato del test la differenza è stata di poco più di due secondi. È un delta contenuto, considerando il pedigree delle Pirelli e l’usura accumulata dai Sailun. Non è una sentenza definitiva, ma un segnale tecnico che chi segue il settore non ignora.
Il vero punto, però, sta nel “modello Cina”: ricerca universitaria, manifattura scalabile, infrastrutture XXL, tempo di esecuzione corto. Quel centro prove non è solo un impianto; è un acceleratore di cicli di sviluppo che può cambiare le posizioni in classifica.
Ti fermi un attimo e immagini l’anello a 400 all’ora, la gomma che canta e i sensori che raccolgono dati come pioggia d’estate. Se questa è la nuova normalità, quanto spazio resta alle vecchie abitudini dell’auto europea? E chi, tra i colossi, avrà il coraggio di alzare il ritmo prima che il treno sia già passato?
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