Il vespaio sollevatosi dopo la pubblicazione del dresscode da seguire in occasione del GP dell’Arabia Saudita ha portato ad un ripensamento.
Dopo la comuncazione diretta ai team e l’uscita di quello schema esplicativo che, con semplicità, dettava le regole su come protagonisti e spettatori della F1 avrebbero dovuto vestirsi in occasione del debutto in Arabia Saudita della massima serie, è stato il caos, o meglio un profluvio di polemiche da parte di chi non comprendeva perché per recarsi ad un evento sportivo con 30 °C all’ombra bisognava intabarrarsi manco si fosse nella steppa.
Insomma, considerato che il personale è europeo o comunque occidentale e i fan della discplina idem, è abbastanza comprensibile che alla richiesta siano piovute immediate proteste.
A poco più di un mese dalla manifestazione che già aveva fatto discutere in quanto il Paese ospitante lede storicamente anche i più basici diritti umani, il promoter ha voluto correggere i tiro. Un po’ come i talebani in Afganistan, i sauditi hanno voluto presentarsi come moderni e aperti, addolciti rispetto al passato recente che li aveva resi invisi agli occhi del mondo.
Per chi non avesse seguito la vicenda dall’inizio, ricordiamo che tutto era partito dalla pubblicazione della lista dei vestiti indossabili nel corso del weekend, resa nota via Twitter da un manager di F2, probabilmente con la mera intenzione di creare discussioni.
Il documento informava del divieto di pantaloncini per gli uomini e dell’obbligo di spalle, braccia e gambe coperte almeno fino a gomiti e ginocchia per le donne.
Adesso però, forse per gettare acqua sul fuoco ed evitare di rende subito tesi i rapporti con il Circus è arrivato il chiarimento. Il diktat è stato presentato come una notizia fasulla. Chi sarà presente a Jeddah a inizio dicembre potrà vestirsi a piacimento senza dover rispettare alcuna regola.
Chiara Rainis
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