Le qualifiche dell’Ungheria hanno messo in luce una situazione decisamente sconfortante per la Ferrari e Raikkonen in fondo griglia ne è un esempio.
Anche se Charles Leclerc al termine della sessione di qualifica sul circuito di Budapest ha provato a guardare al bicchiere mezzo pieno sostenendo che era comunque andata meglio del previsto, il sesto posto da lui conquistato e il quinto a firma del vicino di box Sebastian Vettel hanno ben poco da rasserenare cuore e pensieri della Ferrari. Ciò a cui si è assistito sabato pomeriggio all’Hungaroring è stato un mezzo disastro. Il secondo e tre di distacco subito ad opera delle due Mercedes, ma soprattutto la consapevolezza che oltre alla sempre minacciosa Red Bull, d’ora in avanti ci sarà da lottare pure con la Racing Point, non possono certo far dormire sonni tranquilli alla scuderia di Maranello sia in ottica stagione in corso, sia in prospettiva futura quando lo sviluppo delle monoposto verrà bloccato.
A rendere ancora più fosco, se vogliamo, il quadro di zona Modena, è il pessimo stato di forma che stanno dimostrando di avere le vetture clienti, alias Haas e Alfa Romeo.
Classifica alla mano quanto raccontato dall’Ungheria finora è perlomeno deludente per usare un eufemismo. Se la squadra americana ha chiuso il turno che stabile l’ordine di partenza sedicesima con Magnussen e diciottesima con Grosjean, il Biscione è stato protagonista di uno dei suoi turni più complicati e non solo da quando ha acquisito il nome del celebre marchio italiano, ma anche del passato da Sauber. La diciannovesima piazza di Giovinazzi e la ventesima di Raikkonen come minimo devono far riflettere. Per Kimi si è trattata della peggior prestazione dell’intera ventennale carriera in F1 e questo per un semplice motivo: la macchina non c’è e ancor di più non c’è il motore.
Sicuramente nelle prossime gare, il Cavallino farà di tutto per salvare il salvabile, però è limpido e tangibile che tutte le auto spinte dalla sua power unit sono le più lente del lotto. Un dato di fatto che evidenzia ulteriormente l’errore progettuale di fondo.
Chiara Rainis
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